VIA DELL'UNIVERSO
Racconto di Giuliano Stenghel
Ricordo che quel mattino aveva cominciato a nevicare. Era una nevicata leggera ma insistente, di quelle che non fanno volume ma purificano l’aria. Il paesaggio attorno era avvolto da una nebbiolina spettrale; gli alberi avevano perso il loro verde naturale, come la nostra parete che sembrava avvilita, avvolta nel grigiore. La nostra cordata procedeva lentissima, di tanto in tanto spariva nelle nuvole e soltanto il suono forte del martello che conficcava qualche chiodo nella roccia disturbava il silenzio totale. Appeso con tutto il peso del corpo ad un chiodo, osservavo l’ambiente attorno, godendo di quella rara nevicata a bassa quota; a volte mi giravo verso il mio compagno che faticavo a vedere, nonostante fosse lontano non più di una decina di metri. Mi sentivo solo con il mio problema da risolvere: la nostra via, che seguiva un’esile fessura strapiombante. Martellavo con forza i chiodi, che però stentavano a entrare.
Florian Kluckner - Heinz Grill - Giuliano Stenghel
Heinz Grill sostituisce i chiodi vecchi della via dell'Universo
“Sei sicuro di star bene?”. Impiegai qualche istante. “Sì…credo di sì… mi fa un po’ male la schiena”. Intanto mentre pronunciavo queste parole, cominciai ad issarmi lungo la corda. In sosta: “Ho fatto un lungo volo”, esclamai, non sapendo se piangere o ridere. Lassù Alex mi raccontò. “Alzai gli occhi verso te, richiamato da un sordo rumore e per un attimo non ti vidi, eri sparito nel nulla e... lo strappo sul braccio e i chiodi sopra di me che uscivano uno dopo l’altro mi mostrarono la drammaticità della situazione: eri precipitato in un lungo ‘volo’, strappando tutti i chiodi meno quelli di sosta e penzolavi nel vuoto. Per un attimo, un silenzio impressionante presagiva qualcosa di grave, mentre stringevo con tutte le forze la corda tesa come quella di un violino”.
Lasciai trascorrere qualche minuto poi, con un sospiro, mi accinsi a riprovare. I casi erano due: o si rinunciava, portandosi dietro la paura, oppure si decideva di continuare superando ogni ostacolo. Non so perché decisi di proseguire: forse per vincere la stessa paura! Rimisi gli stessi chiodi che si erano precedentemente levati. Mi sentivo oppresso dalla tensione per il timore di cadere nuovamente e magari farmi male. Respiravo a fatica, come se qualcuno mi stesse rubando l’aria, e spalancai la bocca per farlo a pieni polmoni. Cominciai a tranquillizzarmi. Dopo un lungo traverso, i fiocchi di neve che, ora cadevano abbondanti, ci salutarono in vetta.
Nel secondo tiro del diedro
E Alex, fissandomi così come si guarda qualcuno al di fuori della norma, si domandò a voce alta: “È l’alpinismo più esasperato che ci spinge ad andare oltre anche se a volte ciò comporta dei grossi rischi. Perché rischiamo in questo modo? Perché abbiamo bisogno di vivere forti emozioni?”. Esitai, poi risposi con sincerità: “Un’ipotesi è il fatto di convivere con la morte, allo stesso modo dell’amore”. “Che cosa significa? Vorresti dire che l’amore per una vita intensamente vissuta, ci fa rischiare di morire?”. Mi girai e feci un profondo respiro. “Forse…di certo è il nostro modo di vivere: in continua tensione. Soltanto qualche giorno di pausa, e poi, nuovamente in parete per buttarci in un’altra avventura”. “Una tensione che scompare con l’arrivo in vetta”, concluse Alex. Poi apparve un raggio di sole, illuminando un suggestivo paesaggio invernale di boschi e di montagne candide di neve.